-Tiziana? Stai dormendo? Mi senti? Quando fai il bagno, non ti scordare le scarpette, dice la madre sdraiata sul lettino accanto, -oggi è tempo di tracine.
Si copre lo stomaco col pareo, si volta e richiude gli occhi.
La strada che lungo le mura Aurelie sale sul Gianicolo, costeggia una collina di sterpi, che un tempo era una campagna fitta di orti e casolari, con la tinozza nel prato e le galline che razzolavano al sole. Ai primi dell’800, in uno di quei casolari, viveva una famiglia di contadini e pecorari, così come tutta Roma era campagna e greggi. Il padre, avventuratosi ai Castelli, era scomparso nel nulla, forse travolto dai briganti che infestavano l’Appia, e nel casolare erano rimaste Cesira con la figlia Marta e nidiate di gatti che si perdevano nei campi.
Una scala di cento gradini scendeva alla spiaggia, perché il paese era in alto, su una terrazza: la piazza, la chiesa, e intorno case che s’erano fatte spazio tra quercini, corbezzoli e olivastri, la macchia mediterranea che copriva ancora tutta la costa; e la sera si passeggiava per il paese come in un bosco.
Ho un terrazzino minuscolo al settimo piano ma davanti a me ho l’immensità del mare.
Sono come sulla tolda di una nave. L’acqua rotola e chiacchiera intorno alle barche dei pescatori: non è il cupo porto di Friedrich che inghiotte un guscio di noce tra due fiancate proterve, né quello brumoso di Monet. E’ un porto assolato, caldo dell’acqua materna da cui tutti nasciamo. La gente che brulica sulla banchina vive di quest’acqua, in simbiosi con l’acqua.
Stringeva i pugni sul volante, maledicendo il momento che aveva detto di sì.
- Sbrigati, infilati qualcosa che ti portiamo a cena a Ostia, sul mare.
Era quello, il mare? Una muraglia di stabilimenti, un brulicare di ciabatte, richiami, grida, luci psichedeliche, musica a palla…
Oh il tonfo molle delle gocce di sonnifero nel bicchiere, consolante come pioggia autunnale!
25 aprile
- Andiamo a pranzo a Fiumicino, dai, venite con noi!-
La telefonata è arrivata appena chiusa quella con Lisa.
- Oggi? Oh che peccato! - rispondo - non possiamo! Abbiamo un impegno-.
Ubicaius, detto Ubi, si affaccia all'uscio - Non possiamo cosa? Chi era? -
- Era Gabriella, vanno a pranzo a Fiumicino - .
- E' una bella giornata, perché no? ... Quale impegno ?-
- No, è che stamani m'è scoppiato un gran mal di testa ... -.
Gli occhi socchiusi d'una pantera, mi scruta: non ci crede.